Se si chiede a Marina Ballo Charmet di descriversi con una parola, presa in contropiede, risponde: non-fotografa. Affermarsi con una negazione, in generale, è un movimento del pensiero bizzarro, sfuggente ma generativo, una non-risposta che implica un campo aperto di risposte probabili. Tentando di esplicitarne alcune, possiamo dire che è un’artista che usa la fotografia e il video come linguaggi principali, e una psicoterapeuta infantile che esercita per il Servizio Pubblico di Milano. Dal 2017 è anche autrice di un libro pubblicato da Quodlibet, nella collana Habitat, in cui approfondisce, nel modo fluttuante che già caratterizza la sua produzione visiva, questi trent’anni di (doppia) carriera, esplorando i modi in cui non solo il suo lavoro ha informato la sua ricerca artistica, ma anche quelli in cui la pratica fotografica le ha svelato un certo funzionamento di quella psicanalitica.
Nonostante il raccontarsi di Ballo Charmet sia sempre stato caratterizzato da un’apprezzabile, e rara, limpidezza, il suo discorso procede in modo non-lineare, interrotto e ripreso a ritmo variabile, come l’esposizione delle sue opere: perché la comprensione non si esaurisca ad un livello razionale. Molti aspetti della metodologia psicoanalitica, scrive Ballo Charmet nel capitolo introduttivo, mi sono sembrati nel tempo meno importanti dello sviluppo di una capacità empatica che consente di sintonizzarsi con ciò che il bambino comunica in modo non-esplicito, lasciando però che alla periferia del suo discorso di intraveda il senso di ciò che spera sia capito. Altrove, parlando di un progetto, ribadisce che è la luminosità diffusa a dominare, non la “definizione”.
Alla base di queste considerazioni, c’è una visione relazionale del mondo che da studentessa di filosofia mutua, in generale, dalla tradizione fenomenologica e, in particolare, dalle riflessioni di altri psicoanalisti, citati diffusamente nel libro, tra cui Salomon Resnik, che studiando i rapporti tra psicosi e creatività ha saputo ridefinire la relazione tra conscio e inconscio, rompendo con la tradizione che la considerava in termini binari, non comunicanti. Secondo Resnik, invece, l’irrazionalità non è una negazione della razionalità, ma un suo diverso funzionamento: la soggettività è il risultato della interazione dinamica tra queste due forme di relazione col mondo, come un’immagine lo è di quella tra luce e ombra. In un certo senso Elio Grazioli, uno dei più raffinati critici contemporanei, darà conferma di questa lettura quando nel 2018 include Marina Ballo Charmet tra gli artisti italiani a cui riconosce una qualità poetica comune, che definisce infrasottile. Guardare infrasottilmente, scrive Grazioli, significa vedere due livelli sovrapposti, magari anche due storie, non una alternativa all’altra ma una dentro e sovraimpressa all’altra.
Ed è sempre in senso fenomenologico che Ballo Charmet esprime la sua poetica definendola soprattutto per negazioni: perchè è il rimosso dello sguardo, in quanto tale, il suo soggetto fondamentale. Non-intenzionalità, non-ritmo, fuori-campo, non-limite, non-rappresentazione, distrazione, disattenzione, defotografia. Il titolo stesso del libro, Con la coda dell’occhio, è ripreso da un suo progetto dei primi anni Novanta in cui raccoglie una serie di immagini che oggi ci ricorderebbero quelle che facciamo per sbaglio quando mettiamo via il cellulare lasciando la fotocamera accesa: angoli di strada ripresi senza intenzione, a volte fuori fuoco, eppure familiari, perché già presenti nel nostro immaginario inconscio, insieme a tutte le visioni periferiche e le impressioni che riceviamo in modo subliminale. Con la macchina fotografica, che inizia a usare durante il proprio percorso terapico come paziente, verso la metà degli anni Ottanta, questa non-fotografa scopre prima di tutto un dispositivo di neutralità, che permette di testimoniare (presentare) senza interpretare (rappresentare): la definitiva liberazione dalla soggettività come filtro dell’esperienza.
Insiste molto Ballo Charmet sulla natura di questa libertà, che ritiene una caratteristica specifica del fotografico, e la mette in relazione all’esercizio dell’empatia come capacità, quasi mistica, di portare attenzione a qualcosa senza attendersi nulla, in modo afunzionale, che è il contrario di ciò a cui veniamo educati. Libertà, scrive Salomon Resnik, non rimanda ad un perdersi assoluto, significa disponibilità di estendersi o di vagare verso l’ignoto all’interno di un certo rigore nella ricerca stessa.

– Nel libro è inclusa un’intervista del critico Jean-François Chevrier a Marina Ballo Charmet, ma si può ascoltare anche su Spreaker una lunga chiacchierata tra i due.
– Nel 2012 Salomon Resnik ha ricevuto una laurea honoris causa in Filosofia per l’originalità del suo pensiero: su Youtube il video della cerimonia, con una lezione introduttiva di Fabrizio Palombi che approfondisce piacevolmente quanto accennato nell’articolo.
– Qui i riferimenti alla mostra e un approfondimento di Elio Grazioli sul concetto di “infrasottile”.
– Per una panoramica completa sulle opere, le mostre e le pubblicazioni si può visitare il sito sempre aggiornato dell’artista: www.marinaballocharmet.com